Ma come si fa a crescere un figlio bilingue? Eccovi una rassegna dei vari casi tipici. Prima di tutto un’avvertenza: in questo blog scrivo spesso di “figlio”: per semplicità sto usando il termine maschile come un neutro e il singolare anche al posto del plurale. Chi ha una figlia femmina o chi, come me, ha più figli, sostituisca mentalmente “un figlio” con il termine più adatto.
Ci sono due situazioni ideali. In questi casi, di norma, non ci si pone neanche la domanda. Un figlio cresce bilingue e basta. Essi sono:
- Due genitori italiani che si trasferiscono all’estero con il figlio. Il figlio va alla scuola del posto, ha amici del posto e così via. Dopo poco tempo – è scontato – il figlio parla la lingua del posto meglio dei genitori;
- Un genitore italiano e un genitore straniero (lui italiano e lei rumena, lei italiana e lui svedese) vivono in Italia. Oppure due genitori stranieri della stessa nazionalità (due americani o due filippini), vivono in Italia. Oppure due genitori stranieri, di diverse nazionalità, (lui tedesco, lei cinese) vivono in Italia.
Il figlio impara l’italiano, specie se va alla scuola italiana. I genitori hanno il problema di come trasmettere la (o le) proprie lingue e culture di origine, ma almeno hanno gli strumenti per farlo. Di norma, in queste situazioni, i genitori giustamente scelgono di parlare la (o le) propria/e lingua/e al figlio, per trasmettere la lingua di origine. Il sistema prende il nome di One – parent – one – language (OPOL), ossia “un genitore, una lingua”.
I genitori devono solo decidere quale lingua parleranno tra di loro, davanti al figlio. Se questa fosse l’italiano, le lingue di origine dei genitori, dette lingue minoritarie, si indeboliranno. Se i genitori sono della stessa nazionalità farebbero bene a parlare la loro lingua comune. Tuttavia, se sono di due nazionalità diverse, dovranno decidere da subito cosa fare.
Ora, però, lasciamo da parte queste ipotesi e trattiamo il caso che, normalmente, interessa la maggior parte delle persone che frequentano questo blog.
È il caso tipico di due genitori italiani che vivono in Italia.
Se un genitore è a sua volta bilingue, può tentare l’impresa di parlare al figlio, dalla nascita, la sua seconda lingua. Il bilinguismo dei non-native speaker registra casi di successo o di insuccesso. Qui racconto come ho fatto io.
Il caso più frequente è, però, quello di due genitori italiani che non solo vivono in Italia ma che conoscono poco e male le lingue straniere. Magari le hanno studiate a scuola, il che vuol dire, purtroppo, che non le hanno imparate affatto.
Uno, mastica un po’ d’inglese, l’altra si ricorda i verbi irregolari in francese, hanno una qualche cultura grammaticale e magari anche una vista cultura letteraria, ma, accidenti, parlare fluentemente una lingua e, soprattutto, capirla, è un’altra cosa. Entrambi, magari, si sono resi conto, negli anni, di quanto sarebbe utile conoscere bene l’inglese per il loro lavoro (e magari, chissà, anche lo spagnolo o due parole di tedesco) e magari hanno fatto dei corsi e sensibilmente migliorato la propria situazione, ma nulla di trasformativo. Arrancano ancora negli incontri internazionali.
Hanno un figlio, vorrebbero crescerlo bilingue o, almeno, vorrebbero che avesse una buona conoscenza di una o più lingue straniere e si chiedono…e ora? Davanti a loro hanno diverse soluzioni.
Si tratta di soluzioni con costi diversi ed esiti diversi.
Prima di tutto è necessaria una premessa: come ha efficacemente spiegato lo psicologo cognitivo Steven Pinker nel libro Tabula rasa (ne ho scritto in Natura o cultura? Riflessioni sull’educazione dei figli, l’apprendimento delle lingue è uno degli aspetti che è più influenzato dall’ambiente e meno dalla genetica. In altri termini, un genitore può avete poco o nessun controllo su alcuni aspetti del figlio (alcuni fattori sono totalmente influenzati da elementi genetici, in una sorta di roulette evolutiva) ma l’apprendimento di una o più lingue é ha più a che fare con l’ambiente che con la genetica.
Ovviamente, vi sono persone che hanno un talento sorprendente per le lingue e sono – o diventano – presto poliglotti, arrivando a conoscere e parlare con disinvoltura e con un accento sorprendentemente simile ad un madrelingua anche dieci o più lingue. Si tratta però di casi rari. Eppure, anche persone con un quoziente intellettivo normale – e persino persone con ritardi cognitivi – possono imparare più lingue se esposte ad esse in modo precoce e continuativo.
Il motivo per via del quale l’accento dei figli spesso differisce da quello dei genitori è che gli accenti delle persone quasi sempre ricordano gli accenti dei coetanei e non dei genitori. I figli di immigrati acquisiscono perfettamente la lingua della loro patria d’adozione, senza un accento straniero, purché interagiscano con i loro coetanei madrelingua. Lo stesso vale per i bambini udenti di genitori non udenti, che imparano la lingua parlata della loro comunità senza intoppi. I bambini messi insieme senza un linguaggio comune dagli adulti ne inventeranno rapidamente uno; per inciso, è così che nacquero le lingue creole e le lingue dei sordi.
Il caso più frequente è, però, quello di due genitori italiani che non solo vivono in Italia ma che conoscono poco e male le lingue straniere. Come fare a crescere un figlio bilingue?
Diversi metodi a confronto
- Scegliere una scuola dove si parli quella lingua. Scegliere una scuola internazionale. Sul nostro territorio ci sono scuole dove si parla solo inglese (scuole britanniche e americane, ibride e qualcuna canadese). Costano molto ed offrono programmi e titoli di studio dei rispettivi paesi di origine. Poi vi sono le meno costose scuole francesi, le scuole tedesche e le scuole svizzere. In Trentino ci sono scuole bilingui pubbliche dove si parla italiano e tedesco, in Veneto scuole bilingui italiano – cinese mandarino. A cercare bene, a Roma c’è una scuola giapponese e una scuola araba;
- Scegliere una scuola bilingue o scegliere una scuola con la lingua straniera (normalmente l’inglese) potenziata o rafforzato. Programmi ministeriali italiani e 15-16 ore di inglese a settimana oppure 8-10 ore nel caso della scuola ad inglese rafforzato. Un apprendimento della seconda lingua più lento (non si arriva un bilinguismo vero e proprio) ma la scuola bilingue ha spesso il vantaggio di avere costi un po’ più contenuti di quelle internazionali. Vi sono anche scuole bilingui italo-francesi, in particolare a Roma, e italo-cinesi (a Roma, nel Veneto e nei Convitto Nazionali). Ho scritto degli asili nido bilingui, di cosa fare dopo una scuola dell’infanzia bilingue e di come scegliere una scuola bilingue;
- Veicolare la lingua attraverso una terza persona: tata o nanny straniera, ragazza alla pari, insegnante (è il metodo one person one language). Ho spiegato come prendere una ragazza alla pari. Poi ho spiegato come stabilire un buon rapporto e come mettere in chiaro diritti e doveri dell’au pair. Infine ho raccolto la prospettiva di una ragazza alla pari che ha lavorato non solo da noi, ma anche con altre famiglie in Italia: cosa si aspetta un ragazza alla pari?
- Recarsi durante le vacanze nel luogo dove si parla quella lingua (e iscrivere il bambino ad un summer camp). Fare dei lunghi periodi all’estero, nei mesi estivi, nel paese dove si parla la lingua. Chiamiamo questi periodi, mini – sabbatici. Ne ho accennato in questo post, in cui parlavo degli Stati Uniti (ma la meta potrebbe essere la più varia). La cosa funziona solo a patto di evitare rotte turistiche e scelte di massa e, se possibile, fare la vita del luogo, eventualmente sfruttando la discrasia tra i vari calendari scolastici.
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