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Basta con le feste per bambini! Riflessioni semiserie sul divertimento organizzato

L’estate scorsa sono stata ad una festa di un amico del mio terzogenito. Un gruppo affiatato di bambini correva nel giardinetto con parco giochi dove era stata organizzata la festa, altri giocavano con alcuni giocattoli a disposizione (due o tre palloni, qualche macchinetta e trenino), facevano lo scivolo, o semplicemente chiacchieravano. Del resto il compleanno di questo bambino capita d’estate e il posto si prestava al gioco libero. Ma che fare per chi ha il compleanno in inverno? Il buon senso vorrebbe che si organizzassero le feste a casa propria e si facessero compleanni più raccolti, pochi amichetti (non tutta la classe), qualche gioco a disposizione, una merenda.

E invece no.

Nelle classi agiate, più è piccolo il bambino e più è stravagante, esagerato e costoso il compleanno, quasi che si trattasse di una laurea o di un matrimonio.

Di anno in anno, ho visto compleanni di bambini trasformarsi in eventi sempre più complicati ed impegnativi. Invitare sessanta bambini o anche solo trenta vuol dire per forza affittare un locale, prendere un animatore, prenotare un catering. E, alla fine, poiché queste tre cose seguono delle mode ricorrenti, le feste diventano tutte uguali. Ci sono un paio di animatori a Roma (non faccio nomi, ma potrei) che sono almeno quindici anni che girano, io ormai quando li vedo non so se provare odio o pietas e, qualora risultassi affetta da sordità, ascriverò anche a loro una parte di responsabilità. I regali vengono appoggiati, ancora chiusi, da una parte. Si forma una montagna di regali, che poi vengono aperti tutti assieme subito dopo la torta. Ovviamente non si sa praticamente chi ha regalato cosa, e il festeggiato fa una tale sbornia di oggetti spacchettati che non dice neanche grazie, e non sembra granché felice praticamente di nulla.

Anche le foto delle feste per bambini sono cose orribili: puoi postare sui social la super torta multipiano a forma di automobile o di delfino, ma la faccia di tuo figlio è irriconoscibile per via dell’abitudine del “trucca bimbi” ad inizio festa, una consuetudine che ti obbligherà ad utilizzare metà del tuo costosissimo latte detergente, senza peraltro riuscire ad eliminare le occhiaie glitter di tuo figlio.

La mia prima festa per bambini vissuta da madre fu una specie di sorpresa. Era una festa di due anni e io non avevo ancora mai sperimentato le moderne feste infantili dei quartieri bene, con torte di zucchero multipiano, allestimenti del buffet da matrimonio, pasta al forno alle 4 del pomeriggio, cous cous e calici di champagne (o di pessimo spumante) e festeggiate in abito da principesse che posano per le foto ricordo. Ero innocente ed ignara di tutto ciò che girava intorno a queste feste: baby dance, baby theater, spettacoli di magia, animatore in maschera, scarta la carta, giro in pony, baby chef, festa mini-beauty spa con cosmetici atossici e maschere di bellezza al cioccolato.

Non mi aspettavo la madre vestita da gran sera alle quattro del pomeriggio, tacco dodici centimetri e trucco professionale, né la figlia duenne con abito bianco da damina e acconciatura fiorata tra i riccioli biondi.

Finì male. Tempo un’oretta e la festeggiata, visibilmente sovraeccitata, si attaccò con tutta forza ad un burattino del teatrino e poi al teatrino stesso. Venne giù tutto, e finì in lacrime. Solo in quel momento mia figlia anch’ella duenne, che era stata con le mani sulle orecchie fino a quel momento, urlando “portami a casa, qui c’è troppo rumore!” esplose in una risata, grazie al cielo coperta dalla confusione generatasi dall’incidente.

Quando le mie figlie erano piccole abbondavano le feste in un certo centro adibito appositamente a compleanni e con piccole sale-fotocopia ognuna a nome di un personaggio Disney: sala Cenerentola, sala Biancaneve, sala Topolino e via dicendo. Capitava di sovente, alle feste di settembre, quando ancora nessuno conosceva nessuno, di recarsi alla festa sbagliata. Il bambino entrava, si fiondava verso le vietatissime patatine del buffet e la madre si aggirava dubbiosa con il regalo in mano per un po’, cercando di riconoscere almeno un volto.

Secondo me, avendo un bambino da sfamare, ci si poteva recare in quel luogo di sabato pomeriggio ed infilarsi ad una festa qualunque, magari millantando parentele con uno degli invitati. Del tipo “si, ciao, lui è Mattia, il cuginetto di Martina, non ti ricordi?”.

Ormai, quando so di feste cui i miei figli NON sono invitati, mi frego le mani e penso segretamente che ci è andata bene, anzi, penso con tanta simpatia a chi NON ha invitato tutti, tagliando fuori anche noi.

Ora la mia prima figlia è adolescente e la seconda pure, dunque le feste mi toccano con il piccolo di casa. Tre-quattro anni fa sono stata almeno a tre feste-fotocopia, tema “Frozen”, l’allora ultimo film-con-principessa della Disney. Piattini frozen, palloncini frozen, tovaglioli frozen, animatrice bionda vestita da frozen che, sul più bello, e con un’orribile base musicale un po’ distorta dal volume tenuto troppo alto, si trasforma in cantante (della canzone di frozen, ovviamente). Inutile dire che la festeggiata treenne, quattrenne o cinquenne era sempre anche lei vestita da frozen. Ogni volta che arrivavo a queste feste e incrociavo lo sguardo dell’animatrice ci riconoscevamo silenziosamente e con imbarazzo, come due compagni di sbornia.

Nel medesimo periodo, le feste per maschi erano a tema uomo-ragno. Dunque tutto il merchandising era rosso e blu, con gran profusione di allestimenti a ragnatela. Il festeggiato era irriconoscibile, vestito da uomo ragno anche lui, spesso con tanto di maschera calata sul volto. Se poi la festa era in maschera, tra gli invitati arrivavano un certo numero di copie dell’uomo-ragno, con le gambette tornite e intutate in rosso e blu, tanto che il festeggiato lo potevi solo riconoscere dall’altezza. L’animatore uomo ragno era solitamente una creatura circense che, sul più bello, cominciava performance atletiche, camminando sulle mani ed esibendosi in numeri da contorsionista. I genitori lo guardavano con un misto di ammirazione e di pietà, quest’ultimo per lo sforzo muscolare fatto in tenuta di puro poliestere, tormento non da poco nelle feste estive.

“Mi sento come svuotato…è stata una follia e giuro che non lo rifarò mai più” ci disse un amico dopo aver organizzato una festa con 60 bambini (e immaginate il numero di genitori) per i sei anni della figlia. Si, infatti, ad un certo punto se si ha un po’ di cervello in zucca si rinsavisce.

Peccato che spesso questi inviti nascondano secondi fini di networking anche professionale tra genitorio abbiano un valore “segnaletico”, tanto per esibire il proprio status sociale. Diciamola tutta, in certi ambienti la festa dei bambini è fondamentalmente un concorso dei genitori per mostrare chi è il più unico e favoloso. Funziona così: hai un bambino e tempo che lo iscrivi alla scuola dell’infanzia ti invitano ad una festa, e spendono un tot. Nella stessa classe, la festa successiva sarà più grande e più costosa della precedente. Allora, al compleanno successivo, qualcuno s’inventerà una festa ancora più grandiosa, e via esagerando.

A tutti coloro che rinsaviscono i miei complimenti. A tutti gli altri avverto di stare attenti che la deliziosa bambina festeggiata, con le sue scarpette di vernice, si trasforma pochi anni dopo in una adolescente che per il diciottesimo compleanno pretende di affittare la discoteca, la limousine o il villone sulla costa sarda. O tutte e tre le cose.

E poi, in fondo, la festona così non servirebbe mai: se tutti la bandissimo i bambini ricomincerebbero a fare i bambini e magari sarebbero anche un po’ meno viziati. Bisognerebbe cominciare per gradi: meno invitati, meno rumore, meno regali. Diamoci una regolata, mi viene da dire, e riconvertiamo le feste in normali “compleanni”, a casa propria, con pochi amici, di scuola e non o, per i fortunati nati in primavera ed estate, in un parco pubblico. E basta con la baby dance, l’animatore, il palloncino a forma di cagnolino e l’odioso verso consumistico di “scarta la carta”. E se il prezzo di tutto questo è invitare 6 bambini e non 40, perché no? Non vedo lo scandalo. Cosa succederebbe se una volta tanto si coltivasse anche il gusto di non essere convenzionali?

 

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