In quella trasmissione, si chiedeva ad alcune importanti personalità del mondo culturale, politico, e scientifico di formulare previsioni sul futuro.
Furono invitati, tra gli altri, il filosofo Norberto Bobbio, il semiologo ed esperto di comunicazione Umberto Eco, la scienziata Rita Levi Montalcini, il critico d’arte Giulio Carlo Argan, lo psicanalista Cesare Musatti, gli scrittori Andrea Zanzotto, Alberto Arbasino ed Italo Calvino.
Il 2000 era solo un ventennio più in là, eppure quella data, per via del cambio contemporaneo di secolo e di milennio, appariva allora esoticamente lontana.
Io ero poco più che bambina e quel programma era decisamente tarato su un pubblico adulto, non saprei proprio spiegare perché produsse su di me un’impressione fortissima, forse perché ero una lettrice di Italo Calvino. Avevo tra i dieci e gli undici anni e, all’epoca, a parte Calvino ed Eco, gli altri nomi mi erano del tutto sconosciuti.
Alcune di quelle previsioni si sono rivelate esatte, alcune sbagliate o imprecise. Altre, ancora, sono sempre valide nella loro astrattezza.
Tra quelle esatte vanno annoverate quelle avanzate da Umberto Eco che, sia pur con il lessico di quegli anni, già prevedeva le conseguenze della diffusione dei personal computer (“videoterminali”), della posta elettronica, dei forum (“a una fase successiva di sviluppo potrò intrattenermi con i miei corrispondenti a un altro video terminale”), di internet (denominato “cervello elettronico”) e della rarefazione dei contatti umani a fronte della moltiplicazione di quelli digitali (“avremo sempre più individui isolati di fronte a dei fantasmi elettronici”). Eco intravedeva anche il futuro dell’istruzione, nell’educazione a distanza (oggi parleremmo di MOOC) di cui era pioniera, in Inghilterra, la Open University e parlava della diffusione dell’inglese (“è una lingua che ha un numero di vocaboli molto superiore all’italiano e a tante altre lingue, e una rapidità enorme nel coniare nuovi vocaboli”).
Al termine di ciascuna intervista, il giornalista poneva a tutti la stessa domanda: chiedeva ai suoi ospiti di indicare tre chiavi, tre talismani per il futuro, tre competenze fondamentali da possedere o da trasmettere, che sarebbero state importanti nel 2000.
Era una domanda aperta e, per certi versi, poteva essere anche una domanda idiota; tuttavia, avendola posta ad alcuni degli intellettuali più noti di quel decennio, le risposte furono varie ed interessanti.
Alcuni degli studiosi coinvolti risposero enumerando le competenze che avrebbero dovuto possedere le persone nel 2000; altri dettero risposte più simboliche; altri, ancora, fecero previsioni nel loro campo di indagine circa i problemi o le soluzioni ai problemi che avrebbero caratterizzato la nuova epoca. Pochi, infine, si sottrassero alla domanda.
Quella di Calvino fu la risposta più sorprendente nella sua apparente semplicità. L’intervistatore chiese allo scrittore cosa sarebbe servito nel 2000. Calvino, con la sua caratteristica parlata lenta, a tratti quasi infantile, lo sguardo perduto in cose lontane (che uno studioso di programmazione neuro-linguistica potrebbe divertirsi ad analizzare), così rispose:
- primo: “Imparare molte poesie a memoria; da bambini, da giovani, anche da vecchi. Fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente…”;
- secondo: “Fare delle operazioni di aritmetica. A mano. Fare delle divisioni a più cifre. Estrarre qualche radice quadrata” questo per educarsi alla precisione, al rigore;
- terzo: “ricordarsi sempre che tutto quello che abbiamo può esserci tolto da un momento all’altro”. Chissà a cosa pensava lo scrittore nel rispondere. La seconda guerra mondiale e il nazismo allora sembravano dietro l’angolo, se ne portavano ancora le ferite. Io ero una ragazzina impressionabile, che aveva letto subito il Diario di Anna Frank e troppo presto tutti i romanzi e i racconti di Primo Levi. A me quelle parole arrivarono come un pugno nello stomaco; mi sembrò, all’epoca, di sapere esattamente a cosa si riferiva Calvino con quella frase.
La memoria – madre di tutte le muse – il rigore, la consapevolezza di poter perdere tutto: queste, per Italo Calvino, le qualità ideali da possedere nel futuro (in un futuro che è già passato).
Qualche anno fa, per puro caso, sono riuscita a rivedere uno spezzone dell’intervista a Calvino. Sembra passato un secolo e più: riprese lunghe e fisse, tempi televisivi oggi impensabili. La distanza con il montaggio di certi programmi attuali (come quello della trasmissione “X Factor”, ad esempio) è incolmabile.
Mi piacerebbe vedere, oggi, un programma del genere, un programma nel quale chiedere a dieci intellettuali del nostro tempo, quali sono le competenze chiave per il futuro; lo immagino condotto da Massimo Bernardini o da Gianni Riotta, ma lo vorrei in prima serata, sulla RAI e non relegato su Rai Storia (altrimenti lo vedremmo in pochi).
Ecco, un genitore deve porsi queste stesse domande. Cosa trasmettere? Quali valori o saperi saranno fondamentali? Cosa crediamo possa servire in futuro a noi, ai nostri figli e ai loro figli?
Questo esercizio proiettivo tocca il problema intrinseco dell’educazione, dal punto di vista dei genitori e degli educatori. Il problema è che noi educhiamo oggi chi vivrà domani e, quindi, è come se equipaggiassimo i nostri figli di capacità e conoscenze che, solo in parte, saranno utili, necessarie o adatte al loro futuro.
Educare oggi chi vivrà domani è sempre una sfida. Non siamo in grado di prevedere in tutto e per tutto di quali abilità e di quali conoscenze avranno bisogno i nostri figli per il resto della loro vita; possiamo però provarci. Alcune delle conoscenze che impartiremo o dei valori che trasmetteremo saranno loro utili nel corso della vita. Altri saranno inutili perché obsoleti o, addirittura, controproducenti.
In secondo luogo, perché l’educazione non è solo l’acquisizione di abilità e competenze ma è intessuta anche di cose solo apparentemente inutili come, ad esempio, la consapevolezza della propria storia, della propria identità, individuale e collettiva. Essere educati o istruiti è anche avere il senso delle cose da cui uno viene, senza sapere quali saranno quelle verso le quali uno va.
I nostri figli cresceranno in un mondo molto diverso dal nostro. Quali potrebbero essere le chiavi per il futuro?
La storia – antica o recente che sia – conta innumerevoli previsioni sbagliate: si credeva il Titanic inaffondabile e il computer un elaboratore per pochi eletti.
E’ vero che a far previsioni si può sbagliare, ma a non farne non ci si orienta, ci si lascia vivere, si procede come brancolando nel buio.
Allora lancio una sfida a chi mi legge, stabiliamo un orizzonte temporale non troppo lontano. Io propongo il 2050. Quali sono, secondo voi, dal vostro angolo visuale (di genitori o educatori ma anche di professionisti in un certo campo o, semplicemente di persone) le tre chiavi per il 2050? Di quali competenze, capacità o conoscenze bisogna dotarsi? Quali sono le cose bisognerà sapere o saper fare, avere o essere?
Lascio questa domanda volutamente aperta, forse troppo; sono curiosa delle vostre risposte.
Chi crede di avere una risposta lasci pure un commento. In palio non c’è niente, ma qualcuno di noi potrebbe pure azzeccare! E, magari, anche se non siamo Italo Calvino o Umberto Eco, sarà interessante rileggerci tra trent’anni.
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