Educazione Globale

I programmi dei licei: non è ora di cambiare?

educazioneglobale matite2014In tutti i sistemi di istruzione del mondo i contenuti dei programmi delle scuole primarie (elementari) sono abbastanza simili. Le somiglianze tra i curricula di un paese e  un altro sono forti. In quasi tutto il mondo si studia la propria lingua nazionale, una lingua straniera, la matematica e le scienze, la storia e la geografia, l’arte, la musica e il movimento.

Per le scuole secondarie, invece, decidere cosa debba essere insegnato e, quindi, studiato è assai più complesso, per due motivi.

Il primo è che, specie per la secondaria di secondo gradoci si avvicina al momento in cui si prenderà parte attiva alla società, dunque si è più vicini al momento in cui si inizierà una attività lavorativa. Tale attività sarà più o meno all’orizzonte, a seconda che si prosegua (o meno) con gli studi universitari.

In secondo luogo, perché è in questa fase della propria formazione (fase che è già iniziata nella preadolescenza) che una ragazza o un ragazzo esprime delle preferenze, per così dire, “vocazionali”.  E’ l’età in cui si differenziano gli interessi: una ragazza ama leggere e un’altra ama solo lo sport; un ragazzo preferisce la matematica alla letteratura e un’altro è interessata alla storia ma non ama le materie scientifiche, e via dicendo.

Una scuola vetusta

Tra i tanti problemi della scuola, le secondarie di secondo grado soffrono di un problema di adeguamento di contenuti (per non parlare dei metodi didattici o dell’uso della tecnologia…).

Nei licei ed, in particolare, per il liceo classico, i contenuti sono rimasti più o meno quelli dei tempi in cui il classico era il luogo di formazione di una ristretta parte della popolazione.  Ma la società italiana è profondamente cambiata dagli anni in cui Giovanni Gentile creò il liceo classico – unico dal quale si poteva accedere a ogni facoltà universitaria – come lo strumento di formazione per eccellenza della classe dirigente.

I contenuti dell’impianto umanistico su cui si fonda la scuola italiana – ed anche il c.d. liceo scientifico – sono oggi lontani anni luce da una società, in cui dominano la tecnologia, le scienze, la statistica, l’economia e il diritto.  Dunque l’aoristo e l’ablativo assoluto, l’endiadi e la crasi sono concetti di primaria importanza a scuola ma finiscono di avere rilevanza il giorno dopo l’esame di Stato, quando acquistano importanza (anche o soprattutto) altre discipline, non necessariamente meno nobili, di cui il neodiplomato ignora tutto.

Questa discrasia fra ciò che viene insegnato e appreso nella scuola e ciò che rileva nel mondo reale (e dico nel mondo reale, non solo nel mondo del lavoro) c’è da decenni ma, se forse era ancora sopportabile alla fine del ‘900, oggi è diventata troppo ampia.

Lo scollamento tra scuola e vita è diventato troppo grande. Forse è anche per questo che gli studenti sempre di più stanno abbandonando il classico a favore dello scientifico (considerato un pò più “vicino alla realtà”, un pò meno inattuale) o che scelgono percorsi più internazionali.

L’inattualità dell’impostazione dei licei fa porre ancora una volta l’annoso problema di che cosa continuare a portarsi dietro del passato (cosa fare del latino e del greco, ad esempio) e che cosa invece abbandonare. Ha ancora senso studiare le lingue classiche, ed in particolare il greco antico? Ho già affrontato il tema con riferimento al latino.  Mi limito a dire che è vero che la conoscenza della lingua ci permette la lettura dei testi dei grandi autori nella versione originale, ma altre conoscenze oggi hanno assunto uguale se non maggiore importanza.

Il latino e il greco non sarebbero un male in sé, ma, se nei test internazionali PISA i quindicenni italiani risultano sotto la media in matematica e in scienze, materie essenziali per sostenere l’innovazione e la crescita, ecco allora che sorge qualche dubbio su come si potrebbe impiegare più efficacemente il tempo a scuola.

Studiare solo ciò che è utile?

Il discorso è, però, ancora più complesso. Infatti non intendo affermare che occorra studiare solo ciò che è utile al lavoro, altrimenti l’istruzione finisce per essere asservita al profitto, come effficacemente affermato da Marta Nussbaum, in “Non per profittoe finirebbe per essere solo ‘formazione professionalizzante’.

Non vi è dubbio che conoscenze e competenze non devono solo essere solo funzionali all’uso economico immediato, ma sono necessarie per diventare esseri umani migliori, per accrescere la qualità della vita, per godere d’un patrimonio immateriale come quello della letteratura, dell’arte, della scienza, per apprezzare la bellezza.

Quindi occorre che sia chiaro che non bisogna studiare solo per favorire la crescita economica, altrimenti si studia solo ciò che è utile al mercato e non ciò che è utile agli esseri umani (che è molto di più).  La conoscenza approfondita della storia, della filosofia, o della letteratura e delle arti servono a formare dei buoni cittadini e sono, quindi, alla base di una cultura democratica.

A ben vedere dobbiamo ricordare, come scriveva il grande romanziere Victor Hugo ne I Miserabili, che non è utile solo l’utile ma è utile anche il bello.  In altre parole, che alcune cose debbono essere apprese perché utili ad integrarsi nella società in cui si vive e svolgervi un’attività retribuita; altre, quelle magari poco ‘utili’ saranno comunque preziose per formarci un’identità, possedere una cultura, sviluppare il nostro senso civico a aiutarci a formare una visione del mondo.

Come afferma Howard Gardner, l’educazione deve ruotare attorno a tre componenti, a tre sfere, che sono presenti in ogni cultura: la sfera della verità (nella quale rientrano ovviamente anche i corrispettivi negativi del falso e dell’indeterminabile); la sfera della bellezza (o della sua assenza) e la sfera della morale (di ciò che consideriamo bene o male).  Il percorso educativo ideale, secondo lo psicologo Howard Gardner, è quello che consente allo studente di sviluppare il pensiero critico per distinguere, nell’ambito della sua cultura, tra vero e falso, tra bello e brutto e tra bene e male.

D’altronde, tuttavia, non si può neanche ignorare il mondo che c’è fuori dalla scuola e che si muove a tutto un altro passo ed è profondamente diverso dal contesto in cui i programmi liceali tutt’ora vigenti presero corpo.

Come trovare il giusto mezzo tra l’utile e il bello?

Basterebbe proporre un “utile” uguale per tutti (lingua 1, matematica, scienze, storia, lingua 2) e lasciare scegliere il “bello” (greco antico o letteratura russa, scrittura creativa o psicologia) secondo un criterio vocazionale.

Proviamo ad immaginare questa scuola “diversa”

La scuola superiore dovrebbe essere unica, non suddivisa inlicei e istituti tecnici e professionali, ma dovrebbe articolarsi in materie di base e materie opzionali. Dopo un biennio comune di discipline di base, lo studente di 16 anni dovrebbe poter scegliere una parte del suo curriculum, dando più spazio a certe materie e meno ad altre.  Si dovrebbero mantenere alcune materie di base e altre opzionali, ad esempio corsi che approfondiscano aspetti artistici, musicali o particolari periodi della letteratura ma anche inserire la tematica economico-giuridico-sociale (come fa il liceo classico europeo).

E’ sulle materie opzionali che si può recuperare anche il greco antico, invece di spingere centinaia di studenti ad affrontarlo nell’ambito del liceo classico. Ed è anche tra le materie opzionali che si possono offrire discipline che preparano ad una attività professionale e, quindi, con molte ore di laboratorio o tirocinio.

La didattica degli ultimi due anni di secondaria di secondo grado supererebbe dunque lo schema “stesse materie allo stesso livello” per tutti coloro che hanno la stessa età. Niente più classi scolastiche, bensì gruppi di apprendimento definiti da livelli.

Come funziona? E’ semplice. Per ogni materia c’è un livello di base, che tutti devono raggiungere,  e uno o più livelli più avanzati (così funziona anche l’IB). Ad esempio, tutti devono seguire il corso di matematica 1 e 2 ma solo chi è appassionato fa anche matematica 3 o 4. Per le materie che lo studente ha scelto come minoritarie, o che ha scelto di fare ad un livello inferiore, deve quindi essere stabilito il livello di competenza minima, ad esempio: uno studente decide di fare storia solo fino al livello 2, che è il requisito minimo, e matematica fino al livello 4, o il contrario.

Alla fine della scuola, l’esame di Stato – ma ne ho scritto in un altro post – è modulare e, a seconda delle materie studiate e del livello ottenuto, vincola l’ammissione ai corsi universitari (e l’adozione di uno standard misurabile garantirebbe anche coloro che intendono fare l’università all’estero). Non potrà così accadere che si iscriva a Lettere un diplomato che non ha sostenuto (e superato) la prova di italiano a livello avanzato, o a una facoltà scientifica chi non ha sostenuto (e superato) la prova di matematica a livello avanzato.

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